Serena Spedicato, lo scricciolo che muove i cuori di chi l’ascolta
Serena Spedicato è uno scricciolo ma con un cuore che sa far battere gli altri cuori sulle note di quello che la sua bellissima voce interpreta. La storia del progetto che ha deciso di condividere in più esibizioni con la OLeS, “Io che amo solo te, Le voci di Genova” è bellissima e toccante per nasce da un ricordo intimo, personalissimo:
“E’ vero, tutto è nato da una immagine, una istantanea della memoria che mi è tornata viva e presente pensando ai miei genitori: mio padre che prende mia madre in un abbraccio che trasuda amore e su “Ti ruberò” di Lauzi ballano. Quell’abbraccio mi ha portato alle voci di Genova che avevo ascoltato da bambina, perché mio padre ne era appassionato e aveva tutti i vinili che metteva su sul suo giradischi. Quella musica è un po’ il sottofondo della mia infanzia e giovinezza”
E’ un progetto che racconta, tu non metti sul palco una sequenza di brani ma spieghi, racconti…
“Sì, la mia idea era proprio quella di raccontare. Nasce così Le Voci di Genova, per dire cosa è stata la Genova degli anni 50 e cosa è stato il cantautorato genovese, in particolare, infine, cosa ha rappresentato per la musica italiana. Personalmente ho un amore forte per la “parola”, mi sono riconosciuta nel ruolo dell’interprete. E proprio lo stretto legame con la parola mi ha fatto avvicinare a quel mondo che non conoscevo. Ricordando quella istantanea dei miei genitori abbracciati che ballano, ho identificato cosa mi restava di quella musica che lui amava tanto: un po’ di malinconia, un po’ di sogno, sicuramente delle suggestioni. Ho assorbito tutto questo in quelle sere d’estate quando, in casa, papà metteva un trentatre giri e ballavano, per il piacere di farlo, di abbandonarsi al sogno credo. Quella immagine di indissolubilità dell’amore mi è rimasta dentro”.
E’ molto bello questo incipit….
“Penso di sì, è la verità. Quando ho iniziato a lavorare sul progetto mi sono resa conto che più ascoltavo i brani più entravo dentro queste storie. Ho colto quale grande novità proponessero questi cantautori che raccontavano un amore vissuto nel quotidiano, con pienezza ma anche con disincanto. Cantavano la realtà. Queste canzoni mi scavavano dentro e così è nata la voglia non solo di interpretarle ma anche di raccontare il perché di certi brani”.
Il punto di partenza?
“Ritornerai di Lauzi . Pensa che ad un certo punto sono tornata a casa dei miei e ho ritrovato i vinili. Lì non c’erano solo musica e parole, ma storie vere. I cantautori di Genova sono fortemente legati al luogo in cui si trovano: è forte il loro legame con il mare, la città, quello che questa rappresenta. Un incrocio di commerci, culture, modi d’essere. Una finestra spalancata sul mondo, in quegli anni, non oggi, che è la norma di ogni posto e quindi un po’ tutto è ‘uguale’ ”.
Quindi entri in questo mondo e ti affacci su Genova….
“Sì, in quella musica trovo la Francia, l’esitenzialismo, la malinconia, tutto il Jazz degli anni ’30 e ’40 che sbarca dalle navi con i marinai che arrivano da oltreoceano. E comincio da Lauzi perché è stato il primo e gli altri hanno lo hanno seguito. Solo Sergio Endrigo è genovese d’adozione. Sono andata in via Cecchi, dove questo gruppo d’amici si riuniva al Bar Igea, e lì si sente ancora la loro presenza, tanto tempo speso insieme a parlare, discutere, scambiarsi idee. Un gruppo di poeti in realtà, che conversavano a due passi dal mare scambiandosi sensazioni, emozioni e tutto quello che dal fondo della loro anima facevano emergere quelle conversazioni”.
Una relazione allargata e feconda…
“Sì, si nutrono di tutto l’esistenzialismo francese, del jazz da cui hanno attinto la forma canzone e i giri armonici. Rompono con la tradizione e danno vita a una vera rivoluzione nella canzone perché con loro cambia il modo di scrivere canzoni, cambia la resa poetica e linguistica. Dietro non è difficile scorgere Pavese, Montale, Quasimodo. Sono poeti che semplicemente hanno ricongiunto la parola alla musica. Anzi in loro la musica è parola. Questi testi, aggiungo, sono disarmanti: profondi, semplici nel linguaggio, autentici perché chi li ascolta può sempre ritrovare un pezzo della sua storia personale declinata in altro luogo, in altro tempo, ma in fin dei conti uguale a quella messa in musica da questi giganti”.
Tutto questo parte nel 2014 ma trova forma definitiva nel 2021.
“E’ vero, una gestazione per strati direi. Questo progetto l’ho proposto con testi miei, venivano fuori nel corso dello spettacolo, quindi “a braccio” , in estemporanea. Osvaldo Piliego è stato poi l’inchiostro perfetto. Prima “Le Voci” era più uno spettacolo musicale, di interpretazione sì ma in fin dei conti musicale. Ho incontrato Osvaldo nel 2019. Giornalista, organizzatore di eventi, scrittore. Tre anni fa in occasione della pubblicazione del suo ‘Se tu fossi una brava ragazza’, un romanzo denso di canzoni e vite , che, peraltro, ha il titolo di un brano di Luigi Tenco, mi chiese di accompagnarlo nella presentazione del libro. Nei mesi successisi all’uscita del romanzo, più assistevo alle presentazioni, perché ho continuato ad esserci come voce, più mi rendevo conto che avevo di fronte una persona che conosceva bene la musica degli anni ‘60. A questo punto è stato naturale chiedergli di metter mano al progetto, sistematizzare il racconto. Non mi ha detto subito sì, perché la risposta è stata: ‘non possono scrivere a comando!’ . Ma una sera di dicembre, io ero in concerto al Fondo Verri, evidentemente qualcosa lo ha spinto a venire verso di me, la mia richiesta. Forse la commozione di un ricordo, ipotizzo questo. Certo è che in poche ore e giorni mi ha messo su i testi, le storie: me ne mandava una a notte!”. Si crea un vortice. Osvaldo riesce con le sue storie a sottolineare la sequenza di Io che amo solo te. Le voci di Genova. Costruita la struttura di quella che è una sorta di “Guida all’ascolto” mi imbatto in Vince Abbracciante, con cui avevo già lavorato. Fisarmonica e voce! Decidiamo di sperimentare una timbrica nuova. Il progetto è ormai più maturo, Vince con i suoi arrangiamenti accoglie anche la direzione musicale del progetto”.
Veniamo quindi all’incontro con la OLeS
“Anche questo un incontro felice. Nasce in quella che è stata anche la scuola in cui ho insegnato per due anni canto, il Liceo Palmieri. Incontro per una serie di circostanze Giulietta Keti Ritacca, l’arpista dell’Orchestra, che è anche la vice-presidente dell’Orchestra che è costituita in cooperativa. Dal dirsi “sarebbe bello” al “fare una cosa bella” il passo è stato brevissimo. E’ stato un segno direi : la musica di quegli anni con la OLeS torna alla sua culla. Allora si suonava dal vivo e con le Orchestre! Gli arrangiamenti in questo caso sono di Gabriele Comeglio, un rivestimento sinfonico con richiami al jazz”.
Quali sono i progetti…per questo progetto?
“Patrocinato dal Museo storico di via del Campo 29 rosso, soprannominato la “casa dei cantautori genovesi”, grazie a Laura Monferdini , lo porteremo a Genova e quindi all’estero: in Portogallo, a Porto, presso l’Istituto Dante Alighieri, dopo averlo portato già a Lisbona all’Istituto di cultura italiana dove ha avuto tanto successo. Quindi Malta, Edimburgo sempre con l’Istituto di cultura italiana all’estero e con i testi tradotti. Sono solo da confermare le date e i teatri”.
Serena Spedicato come arriva al canto?
“Nasco con ‘pane e jazz’!La musica signoreggia da sempre in casa mia, quella di Sinatra, Nat King Cole e tutti gli altri. Incontro nel ’97 Luigi Bubbico, cui devo tutto. Non sapevo leggere la musica ma cantavo. Un mio amico che doveva, per un esame con Luigi, portare una trascrizione di un brano dei Manhattan Transfer mi chiese di eseguirlo con il quartetto che per l’occasione aveva messo su. Pensa: ho imparato tutto a orecchio e al saggio incontro Bubbico che mi dice ‘Tu hai talento, devi studiare’. E comincia a darmi suggerimenti, mandarmi una serie di musicassette – che ancora amorevolmente conservo! A Luigi devo tutto! – e mi suggerisce una serie di autori da studiare, da Chat Backer a Ella Fitzgerald. Dovevo entrare per lui direttamente, è il caso di dirlo, nel mood giusto. Così ho cominciato a studiare con il Maestro Bubbico privatamente. La prematura scomparsa dei miei è stato un terremoto: emotivo ma non solo. Sono cambiati tutti gli equilibri anche economici, ma Luigi mi è stato accanto, mi ha sostenuto obbligandomi ad andare a seguire come uditrice le sue lezioni. Non poteva immaginare che io non continuassi in qualche modo a studiare. Inutile dire quanto gli sono infinitamente grata. Nella sua classe di jazz ho imparato a studiare musica in modo sistematico. I miei compagni di corso? Raffaele Casarano, Andrea Sabatino, Nicola Andrioli, Luigi Botrugno. Alla fine mi chiese di essere vocalist del Conservatorio, e siamo arrivati alla fine degli anni ’90. Da lì il resto: inizio a cantare con l’Orchestra del Conservatorio, mi iscrivo, studio e conseguo il titolo. In quel periodo ho lavorato alla ricerca e approfondimento delle mie attitudini: il percorso è stato jazz e polifonica, fino a ‘sentirmi’ interprete. I primi dischi? Nel 2012 e poi nel 2019. Se Luigi Bubbico non avesse insistito io avrei fatto altro. Non mi ha mai lasciato e tutto quello che ho fatto è sempre passato dalla sua valutazione”.
Progetti futuri.
“Lavorare a un disco di inediti, penso di essere pronta brani miei, sto ora lavorando alla scrittura. Per quanto io creda nella rilettura perché anche quella è una forma di composizione. Ho però già scritto dei testi e armonie di base che dovranno essere arrangiate. Line up del disco è da definire”.
Serena, cosa è la Musica per te?
“Musica è porgere la parola. Il Canto e la Musica sono il riconoscimento profondo di sé, i mezzi attraverso cui esprimere se stessi. Strumenti che ti fanno essere strumento del ‘sentire’, un ‘sentire’ che a volte noi tutti chiudiamo nei cassetti e che invece faremmo bene ad aprire”.
(Testo raccolto a cura di ComunicazioneOles)